La storia che sto per raccontarvi è una storia normale, ordinaria come molte delle nostre vite e ha a che fare con qualcosa che attiene alla mia esperienza personale e che ho capito con il tempo: non fermarsi ad un giudizio sommario, andare oltre la superficie delle cose, concedersi sempre una seconda possibilità. Ho conosciuto Arianna Gamberoni recentemente grazie ad un’amica comune. Vive a Bussolengo e, nella nostra cittadina, svolge la sua attività di tatuatrice.
Arianna Gamberoni, il corpo come mezzo di espressione
Arianna Gamberoni è una donna educata, garbata, intelligente, piacevole e tatuata da testa a piedi.
I disegni sulla sua pelle si susseguono senza soluzione di continuità. Centinaia di ricordi e di esperienze ne ordiscono la trama , in un unico grande intreccio. Mossa da pura curiosità personale ho voluto saperne di più.
Mi sono chiesta se l’esigenza di decorare la pelle quasi a non intravederne la grana originale fosse un modo per esprimersi o piuttosto una specie di scudo a difenderla dal mondo esterno.
“Ho iniziato a dipingere che ero bambina” mi dice.
“Il passaggio dalla tela alla pelle, mia ed altrui, è stato graduale e del tutto naturale. A distanza di anni, quando guardo le mie vecchie foto non mi riconosco. Io sono questo”.
Non paga, le chiedo se avverte la curiosità delle persone, talvolta anche la diffidenza. Oppure se ha mai pensato un giorno di pentirsi di qualcosa che ormai è irreversibile.
“Come ho già detto, ogni tatuaggio fa parte di me e non rinnego nulla perchè per me questo è l’unico modo di essere veramente me stessa” e poi aggiunge ” E sì, la diffidenza verso il mio aspetto in qualche caso c’è”.
Lo dice senza rammarico, con il sorriso sulle labbra e facendo spallucce. Sono, forse, più dispiaciuta io e non per lei ma per chi si nega l’opportunità di andare oltre. Rinunciando alla comprensione, all’empatia. Smettendo di imparare, insomma.
